Nel 2017 le famiglie italiane hanno speso di tasca propria in sanità privata circa 37,3 miliardi di euro, con un aumento del 9,6% rispetto alla media del periodo 2013-2017. La fotografia è quella scattata dal rapporto realizzato da Censis e RBM Assicurazione Salute e presentato a Roma lo scorso 6 giugno durante l’ottava edizione del Welfare Day.
I dati dimostrano che la spesa sanitaria privata in capo alle famiglie italiane sta aumentando ad un ritmo più intenso della loro spesa totale per consumi e che dal 2010 al 2017 la spesa sanitaria privata (come quota della spesa sanitaria totale) è sempre cresciuta passando dal 21,5% al 24,8%, laddove quella pubblica si è ridotta dal 78,5% al 75,2% con uno spostamento di 3,3 punti percentuale a favore della privata.
Nel rapporto si parla, non a caso, di “sanità del rancore”: il nostro è un Paese in cui il 54,7% degli italiani pensa che “i cittadini non abbiano più le stesse opportunità di cura” e a finire nell’occhio del ciclone è la sanità pubblica con i casi di malasanità, le liste di attesa troppo lunghe, la quantità di servizi da pagare oltre alle tasse, i disservizi.
Un ulteriore dato che emerge dal rapporto è quello della mobilità sanitaria: nelle regioni in cui è stato registrato un più alto tasso di insoddisfazione per la qualità delle cure corrisponde anche un vero e proprio esodo di pazienti, alla ricerca di una sanità pubblica migliore. Questi pazienti devono sostenere costi di trasporto, vitto, alloggio, assenza dal lavoro extra rispetto alle spese sanitarie propriamente dette oltre che, in molti casi, finiscono per subire l’effetto inverso dell’esodo laddove in molte regioni di destinazione della mobilità sanitaria ci sono ormai tempi di attesa per alcune patologie addirittura superiori a quelli delle regioni di fuga.
Emerge una forma di “razzismo” tutto nostrano: sono 13 milioni gli italiani che dicono stop ai migranti della sanità fuori regione riunendosi sotto l’egida del “ognuno si curi a casa propria”. È un rancore sociale che si alimenta e che coinvolge indistintamente ceto popolare e ceto medio, con altissima diffidenza sull’avvenire del Servizio sanitario e sul contributo che la politica potrà dare nel prossimo futuro.
Il Rapporto fornisce anche interessanti dati sui flussi elettorali. Per l’81% dei cittadini la Sanità è una questione decisiva nella scelta del partito per cui votare: più rancorosi verso il Servizio sanitario sono gli elettori del Movimento 5 Stelle (41,1%) e della Lega (39,2%), meno quelli di Forza Italia (32,9%) e Pd (30%); ma gli elettori di 5 Stelle (47,1%) e Lega (44,7%) sono anche i più fiduciosi nella politica del cambiamento, rispetto a quelli di Forza Italia (31,4%) e del Pd (31%). Sarà uno dei banchi di prova sul quale gli italiani testeranno il governo del cambiamento.
Al di là delle idee politiche dei cittadini, l’analisi dei nudi numeri fornisce un quadro molto esatto: nel 2017 le prestazioni pagate di tasca propria dagli italiani sono state circa 150 milioni, con un esborso medio pro capite di 655 euro. In cima alla classifica delle spese per le cure 7 cittadini su 10 hanno acquistato farmaci (per una spesa complessiva di 17 miliardi di euro), 6 cittadini su 10 visite specialistiche (per 7,5 miliardi), 4 su 10 prestazioni odontoiatriche (per 8 miliardi), 5 su 10 prestazioni diagnostiche e analisi di laboratorio (per 3,8 miliardi) e 1 su 10 protesi e presidi (per quasi 1 miliardo).
Meno del 15% di queste spese è rimborsato da forme sanitarie integrative, con l’estrema conseguenza registrata che 7 milioni di italiani si sono indebitati per far fronte alle spese sanitarie e 2,8 milioni hanno dovuto vendere le case o svincolare risparmi per recuperare le risorse necessarie ad affrontare le spese sanitarie private. Costi sempre più alti, dunque, che non possono essere più considerati un appannaggio dei soli ceti benestanti o dei territori dove la sanità funziona meglio, con un tasso di incidenza sempre più alto sui redditi dei gruppi sociali più vulnerabili.
Marco Vecchietti, amministratore delegato di RBM Assicurazione salute: «La spesa sanitaria di tasca propria è la più grande forma di disuguaglianza in sanità, perché colpisce in particolar modo i redditi più bassi, le Regioni con situazioni economiche più critiche, i cittadini più fragili e gli anziani. Bisogna superare posizioni di retroguardia e attivare subito, come già avvenuto in tutti gli altri grandi Paesi europei, un secondo pilastro anche in sanità che renda disponibile a tutti i cittadini le soluzioni che attualmente molte aziende riservano ai propri dipendenti. In questo modo si potrebbe dimezzare il costo delle cure che oggi schiaccia i redditi familiari, con un risparmio per ciascun cittadino di circa 340 euro all’anno».
Concorde anche Giuseppe De Rita, presidente del Censis: «Tutti noi abbiamo aspettative moltiplicate rispetto al passato, molto più ricche e diversificate. Non andiamo spesso neppure più al SSN, ma direttamente sul mercato o in azienda se c’è del welfare aziendale, ci facciamo la polizza assicurativa per essere tranquilli».
In questo contesto iper competitivo, anche le aziende del settore sanitario privato (cliniche, studi radiologici e di diagnostica, centri di riabilitazione, laboratori analisi, ecc.) oltre ai singoli medici specialisti, iniziano a ricorrere massicciamente a strumenti di comunicazione e marketing, affidandosi ad operaotri specializzati in Comunicazione Sanitaria.