di Mario Maffei

Il COVID-19 ha fatto scoprire agli italiani la professionalità e l’abnegazione dei medici italiani e di tutto il personale infermieristico e paramedico. Ma fino a ieri, i sanitari, sono stai oggetto di gravi episodi di violenza

Il 2020 si era aperto così come s’era chiuso l’anno precedente: con pessime notizie riguardo i casi di aggressione verso medici e personale medico: “I due episodi accaduti ad inizio anno, segnalati dall’associazione ‘Nessuno Tocchi Ippocrate’, non sono che la punta dell’iceberg di quella che è diventata una vera emergenza di sanità pubblica” – aveva dichiarato il dott. Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO). Le due aggressioni di inizio anno sono quasi da guerriglia sociale: in Sardegna, una bomba carta è stata fatta deflagrare sotto un’ambulanza, sopraggiunta a soccorrere un ferito, mentre in Campania una dottoressa è stata minacciata da un paziente psichiatrico con una bottiglia rotta.

L’associazione “Nessuno Tocchi Ippocrate” ha anche una pagina Facebook nata nel 2017 “con lo scopo di dare voce a tutto il personale sanitario aggredito durante l’esercizio delle sue funzioni”.

Ma la “vera emergenza di sanità pubblica” di cui parla Anelli riguarda le minacce, le aggressioni verbali e talvolta anche fisiche che espongono i medici a gravi rischi, soprattutto il personale operativo in pronto soccorso, in ambulanza e i medici di famiglia, come segnala il sindacato Anaao-Assomed.

L’eroismo dei medici ai tempi del Coronavirus

Oggi gli italiani si stringono attorno agli operatori sanitari con incoraggiamenti e ringraziamenti per il grande senso del dovere che stanno dimostrando in queste durissime settimane di emergenza sanitaria.

Come soldati caduti in trincea, sono ricordati dalla FNOMCeO, che ha listato a lutto il sito istituzionale, aggiornando quotidianamente l’elenco di chi ha perso la vita in servizio. Un vero e proprio “bollettino di guerra”, reso noto ogni sera, dopo la battaglia nei confronti del Covid19 e pubblicato sul sito nazionale dell’Ordine dei medici, a questo link https://portale.fnomceo.it/elenco-dei-medici-caduti-nel-corso-dellepidemia-di-covid-19.

Mentre si allunga l’elenco dei “caduti in corsia”, aumenta anche il dato dei medici che muoiono improvvisamente, ma che, non essendo stati sottoposti al tampone, non sono formalmente annoverati tra le morti causate dal COVID 19.

“Non possiamo più permettere che i nostri medici, i nostri operatori sanitari, siano mandati a combattere a mani nude contro il virus” – ha affermato il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli.

Per fronteggiare la cronica carenza di personale medici e infermieri, anche chi è andato in pensione con “quota 100” potrà riprendere a lavorare. Lo rende noto l’Inps in una circolare: “Nei confronti del personale medico e di quello infermieristico, già titolare di trattamento pensionistico quota 100, al quale sono stati conferiti incarichi di lavoro autonomo per fare fronte all’emergenza Covid-19 – si legge – non trovano applicazione le disposizioni in materia di incumulabilità tra pensione e reddito da lavoro autonomo”.

La pandemia da corona virus non solo ha risvegliato negli italiani il senso di appartenenza e di comunità, ma ha anche fatto riscoprire quel legame di fiducia tra medico e paziente che negli ultimi 20 anni era andato via via sfilacciandosi, anche a causa del dilagare di fake news e di tesi no vax e anti Scienza.

In un attimo, quell’attimo che intercorre tra la paura di morire e la speranza di sopravvivere che sopraggiunge affidandosi alle cure competenti della Medicina, tutta l’Italia si è aggrappata alla classe medica: si è riscoperto il valore della competenza, dello studio, della specializzazione, dell’etica deontologica, del valore del giuramento di Ippocrate che porta il medico a sacrificare la propria vita per garantire il diritto di cura.

La pratica professionale della medicina implica un forte impegno verso il benessere del paziente e, di riflesso, di tutta la collettività. Ogni medico, qualunque sia la sua branca specialistica, sente questa importante responsabilità.

Ma, una volta arginato il virus, è importante riuscire a capitalizzare l’immenso sforzo profuso (anche in termini di vite umane), continuando a tenere ben saldo il legame con i pazienti.

Aggressioni: numeri da guerra civile

Il modo migliore per rendere onore all’odierno sacrificio dei sanitari italiani e non dimenticare le aggressioni che hanno subito. Ecco i dati forniti dal sindacato di medici e infermieri nel 2019: circa il 65% dei medici ha dichiarato di aver subito aggressioni fisiche o verbali, mentre per i medici del pronto soccorso la percentuale sale all’80%. I soggetti maggiormente a rischio sono le dottoresse, vittime del 56% delle aggressioni. Si calcola che solamente nel 2019 gli episodi di violenza e minaccia nei confronti del personale medico abbiano superato quota 3.000. A questi vanno aggiunti anche i casi che riguardano infermieri e operatori socio sanitari, anche loro esposti a rischi notevoli.

Ma sono numeri per difetto, perché molti medici preferiscono tacere. “Una vera carneficina silenziosa – la definisce Anelli – perché spesso le minacce non vengono rese note per vergogna, per senso di pudore verso una denuncia che porterebbe allo scoperto situazioni di inadeguatezza o perché, addirittura, le aggressioni sono considerate una naturale componente del rischio professionale”.

È un quadro allarmante, che fa da specchio alla situazione sociale ed economica del nostro paese. Si tratta della rabbia e del malcontento dei tanti che vivono situazioni disagiate, e che cercano nella Sanità protezione e risposte che il welfare non garantisce, sfogando sugli operatori sanitari la propria frustrazione.

In alcune regioni italiane, soprattutto in Campania, la situazione ha raggiunto una gravità tale che spesso i medici sono costretti a chiedere la protezione dell’esercito e delle forze dell’ordine.

Le tappe del DDL antiviolenza per medici, infermieri e OSS

Gli ultimi episodi hanno spinto il Ministro della Sanità, Roberto Speranza, a sensibilizzare il Parlamento perché si introducano nuove e più efficienti misure contro gli aggressori.

È infatti ancora fermo in Parlamento – in attesa della votazione definitiva – il ddl antiviolenza per medici, infermieri o OSS, che prevede l’inasprimento delle pene fino a 16 anni, per chi aggredisce il personale sanitario e quindi ne impedisce il normale svolgimento delle funzioni.

Oltre all’innalzamento della pena – che oggi arriva ad un massimo di 3 anni per chi aggredisce un pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio – è necessario prevedere in modo dettagliato altre forme di protezione e di prevenzione.

Come spiega Anelli: “Tra gli interventi che riteniamo utili e necessari, va considerata la ricollocazione degli ambulatori di guardia medica in ambiente protetto; l’istituzione, presso ciascun pronto soccorso, di un presidio fisso di polizia e quindi idoneo a garantire un’adeguata tutela dell’incolumità e della sicurezza del personale, composto da almeno un ufficiale di polizia e da un numero di agenti proporzionato al bacino di utenza e al livello di rischio della struttura interessata”.

Dunque, non si tratta solo di punire, ma di prevedere – per legge – una serie di interventi e misure di sicurezza che mettano i medici e il personale sanitario in servizio in condizione di fronteggiare le aggressioni verbali e fisiche a cui sono esposti.

L’Osservatorio permanente e la Raccomandazione n.8

Prendendo atto dell’atteggiamento positivo e propositivo del Ministro Speranza, il presidente di FNOMCeO lo ha sollecitato affinché venga riconvocato l’Osservatorio permanente, partendo dalla revisione della Raccomandazione n° 8.

Quest’ultima è stata adottata dal Ministero della Salute già nel 2007, “per prevenire atti di violenza ai danni degli operatori sanitari”, e si rivolge a tutte le strutture sanitarie ospedaliere e territoriali, con priorità per le attività considerate a più alto rischio (aree di emergenza, servizi psichiatrici, Ser.T, continuità assistenziale, servizi di geriatria).

Nessun medico deve essere lasciato solo, a garantire assistenza in condizioni di sicurezza precaria – sottolinea Anelli – è necessario uno sforzo ulteriore da parte del legislatore per la risoluzione di tutti quei problemi di carattere organizzativo rimasti un po’ fuori dal Disegno di Legge”.