Le Linee Guida sulle Fratture da Fragilità sono un sistema integrato di raccomandazioni, sviluppate su una specifica patologia, con la finalità di offrire un manuale di facile consultazione per i medici per la gestione più appropriata in specifiche situazioni cliniche. Con tale codice univoco è possibile ottenere un’attività clinica sempre più omogenea, riducendo la variabilità dei comportamenti, fermo restando la possibilità di trattamenti terapeutici personalizzati.
Le linee guida sono state validate dall’Istituto Superiore di Sanità e sono state presentate il 20 ottobre 2021, in occasione della giornata internazionale sull’Osteoporosi. Sono il risultato di due anni di lavoro condotto da otto società scientifiche, con la SIOT (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia) in veste di capofila. Al gruppo di studio dell’osteoporosi, di approfondimento dei dati offerti dalla letteratura e di analisi delle criticità clinico-organizzative, hanno preso parte Sie, Sigg, Simfer, Simg, Simi, Siomms e Sir. Fondamentale è stato anche il contributo di 16 associazioni di pazienti.
Si tratta delle prime al mondo e spetta, dunque, all’Italia il primato, stando a quanto è emerso nel corso della tavola rotonda sul tema “Fratture da Fragilità: una battaglia quasi vinta”, organizzata dalla Fondazione Firmo (Federazione italiana ricerca malattie dell’osso.
La SIOT è impegnata da diversi anni nella sfida scientifica per contrastare l’osteoporosi e i traumi ossei che ne derivano. Nel 2017, un nutrito gruppo di specialisti ha firmato un articolo scientifico in cui furono poste le basi delle linee guida e quel lavoro venne pubblicato sul “Journal of Orthopaedics and Traumatology” .
Successivamente è stato costituito il consorzio Frame, acronimo di Fracture Management Expert, nato dalle otto società scientifiche e dalle sedici Associazioni di pazienti che hanno dato vita alla prima linea guida sulle fragilità della struttura ossea.
Per SIOT sono le terze linee guida presentate nel corso dell’anno 2021, dopo quelle dedicate alle Fratture del collo femore e alla Prevenzione delle Infezioni in chirurgia ortopedica.
ABBIAMO INTERVISTATO IL PROF. PAOLO TRANQUILLI LEALI, PRESIDENTE SIOT
Cosa sono le linee guida sulle fratture da fragilità e a cosa servono?
“Le linee guida sono un sistema integrato di raccomandazioni, sviluppate su specifiche patologie, con la finalità di assistere i medici nella gestione più appropriata in determinate situazioni cliniche. I medici, quindi, hanno la disponibilità delle cosiddette best practice e in questo modo sono nelle condizioni di svolgere un’attività clinica sempre più omogenea, riducendo la variabilità dei comportamenti. Sono il risultato di una riflessione posta in essere negli ultimi anni, quando si è compreso bene che era necessario armonizzare le procedure e gli interventi assistenziali ai pazienti, affinché siano il più possibile omogenei e armonici sull’intero territorio nazionale, così come su scala europea e mondiale. Questa omogeneità garantisce che ogni paziente riceva i trattamenti più efficaci, tenuto conto della particolare patologia di cui soffre.
Con le linee guida, inoltre, sono stati affrontati aspetti legati agli aspetti della formazione professionale e all’aggiornamento, per un’efficace sintesi delle informazioni scientifiche disponibili. Anche il tema del monitoraggio dell’incidenza della patologia e dei comportamenti clinici ricorrenti più appropriati, è una parte importante delle linee Guida, così come lo sono gli aspetti medico-legali. Altra funzione è legata al rafforzamento dell’attività assistenziale e riabilitativa”.
Cosa cambia, quindi, con l’introduzione delle linee guida?
“Con l’introduzione delle linee guida, si facilita la percorrenza di sentieri che sono comuni a tutti e condivisi, fermo restando lo spazio per la personalizzazione dell’approccio terapeutico perché il paziente deve restare al centro del nostro approccio. Con l’introduzione delle linee guida siamo sicuri che, ad ogni fase della malattia, corrisponda un’azione logica, efficace e scientificamente validata.
Perché queste linee guida sulla fragilità sono considerate un traguardo storico?
“Si tratta di un traguardo storico perché sono le prime linee guida sulle fratture da fragilità che esistono al mondo e questo primato spetta all’Italia: sono state, infatti, validate dall’Istituto superiore di sanità e sono state presentate lo scorso 20 ottobre, in occasione della giornata mondiale dell’osteoporosi.
Va considerato che il settore dell’ortopedia è molto disomogeneo ed ampio, ma scarsamente classificato. In questo contesto si è riusciti per la prima volta a mettere a punto codici univoci che consentono di classificare le fratture da fragilità, in modo tale da identificarne la causa per applicare, di conseguenza, procedure condivise per un corretto ed efficace processo di cura.
Gli obiettivi, quindi, sono stati principalmente due: innanzitutto, la definizione di un codice univoco che ci consente, da oggi, di associare ad una determinata patologia ossea la causa delle fratture da fragilità. Il secondo obiettivo è avere un trattamento univoco per la diagnosi, la terapia e la gestione del paziente nella fase post operatoria”.
In che modo è stato raggiunto questo traguardo e che ruolo ha avuto la SIOT?
“Le linee guida sulle fratture da fragilità sono il risultato di un lavoro svolto negli ultimi due anni da otto società scientifiche italiane, con la SIOT, la Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia in veste di capofila. Al gruppo di studio dell’osteoporosi, di approfondimento dei dati offerti dalla letteratura e di analisi delle criticità clinico-organizzative, hanno preso parte Sie, Sigg, Simfer, Simg, Simi, Siomms e Sir. Del gruppo hanno fatto parte anche 16 associazioni di pazienti che abbiamo coinvolto in ogni fase”.
Qual è stato il contributo delle associazioni dei pazienti?
“Il contributo è stato fondamentale: non è più pensabile al giorno d’oggi andare avanti senza ascoltare e parlare con chi soffre della patologia che vogliamo curare. Chi meglio del paziente, che vive e sperimenta quotidianamente il dolore della malattia, può riferire le difficoltà che ha incontrato e che incontra? Chi, meglio del paziente, può aiutare gli ortopedici a ricostruire cosa è successo e a capire cosa è meglio per lui? Le risposte dei pazienti sono fonti di informazioni preziose per capire cosa fare e cosa, al contrario, non si deve più fare per ricadere nella malattia.
Avere contezza delle aspettative e dei desideri del paziente è alla base del nostro lavoro ed è esattamente per questo motivo che il gruppo di lavoro sulle linee guida è stato allargato alle associazioni dei pazienti”.
Facciamo un passo indietro. Osteoporosi e frattura da fragilità in che rapporto sono?
“Ci sono fratture da fragilità che non derivano da patologie osteoporotiche e, fortunatamente, sono una minoranza. Tendenzialmente le classifichiamo come fratture patologiche, ovvero quelle che avvengono non perché l’energia dell’impatto sia stata elevata, ma perché si è indebolita la struttura dell’osso.
Anche la frattura da osteoporosi, in realtà è una frattura patologica. Questo perché l’osso non presenta più le normali qualità strutturali ma, per esempio, una localizzazione tumorale può assorbire l’osso, ridurre la resistenza e in queste situazioni, avremo una frattura da fragilità che non sarà scheletrica, ma sarà una fragilità secondaria a una invasione del tessuto neoplastico.
Generalmente, a partire da quale età l’osteoporosi ha incidenza? Ci sono differenze tra donne e uomini?
“A partire dai 50 anni bisogna accendere i sensori. Una volta le cose erano molto più pragmatiche. Sul bugiardino di molti farmaci, infatti, era scritto che erano adatti all’impiego dell’osteoporosi post menopausale. Per parecchi anni questi farmaci sono stati usati, in maniera impropria, per gli uomini perché non vi era ancora contezza delle conseguenze causate dall’osteoporosi nell’uomo che non ha lo stesso uragano ormonale che avviene nella donna quando si spengono i sensori degli estrogeni che provocano, di fatto, un profondo riallineamento del metabolismo dello scheletro. Questo è il motivo per cui tendenzialmente noi ortopedici siamo favorevoli alle terapie sostitutive per ridurre il dramma della tempesta ormonale, accompagnandolo progressivamente con gli anni.
Nell’uomo, invece, normalmente l’osteoporosi si manifestava in età molto avanzata. Oggi, invece, con l’aumento dell’aspettativa di vita, anche noi uomini siamo oggetto di interesse.
Solo per avere un’idea, il picco di fratture da fragilità nelle donne oscilla tra i 65 e i 70 anni, mentre negli uomini, generalmente, si ha dopo i 70 anni. In ogni caso, si tratta di un processo molto lento. Bisogna ricordare che l’osso è considerato dal nostro organismo come un grande serbatoio e il calcio è fondamentale per la conduzione muscolare. Se abbiamo livelli molto bassi di calcio, il corpo andrà a sopperire a tale mancanza prendendo la vitamina direttamente dalle nostre ossa”.
Quali sono i campanelli d’allarme per l’osteoporosi, una malattia insidiosa in quanto asintomatica?
“La prima cosa che direi, è prestare attenzione alle unghie perché lo sfaldamento è un segno indiretto di carenza di calcio nelle ossa. Inoltre, sia per gli uomini che per le donne intorno ai 45 anni sono consigliabili un dosaggio di vitamina D e una serie di esami che hanno l’obiettivo di fotografare il metabolismo scheletrico”.
Un consiglio, invece, per chi è già più avanti negli anni?
“Sicuramente è consigliata l’attività fisica regolare associata ad una dieta equilibrata con specifici integratori quali ad esempio il calcio e la vitamina D”.
Può regredire nel tempo una frattura da fragilità una volta che si è conclamata? E c’è un legame tra osteoporosi e l’età che avanza?
“Sì, la fragilità può regredire. Il concetto è il seguente: si dice che l’osteoporosi inizi al termine del raggiungimento della massa ossea massima, fra i 13 e 14 anni. Da quel momento, una volta che si arriva ai 20 anni, inizia il processo dell’osteoporosi che corrisponde ad una leggera e progressiva perdita della struttura ossea, fino a quando non si raggiungono i 60 anni e ci si accorge di aver perso il 20% della massa ossea.
Non si può, ovviamente, pretendere di recuperare 40 anni di vita in pochi mesi. Se però una persona arrivata a 60 anni ha coscienza di essere osteoporotica ed è sicura cronicamente di come è avvenuta la perdita della massa ossea, i parametri dell’osteoporosi regrediscono passando da una situazione di osteopenia ad una situazione di normalità. E’ solo una questione di tempo e di un regime terapeutico e alimentare corretto”.
Ci sono differenze tra frattura da fragilità e frattura da trauma?
“Non so se qualcuno abbia qualche esperienza nel fai da te e conosca la differenza tra una tavola di castagno e un truciolato che sarebbe del legno compresso. Inserire una vite in una tavola di castagno talvolta è quasi impossibile in quanto è un materiale molto compatto e duro. Inserirla, invece, in un truciolato è molto più semplice e talvolta si può fare anche a mano.
Ecco, spesso l’osso osteoporotico dà questa sensazione al chirurgo: la vite tiene sempre nell’osso sano, mentre in quello osteoporotico no”.
Quali sono le tecniche operatorie, ad oggi, utilizzate?
“Abbiamo sviluppato una serie di accorgimenti affinché i sistemi di tenuta reggano e vengano utilizzati appositamente nell’osso osteoporotico. Ad esempio, le viti canulate che vengono impiantate nelle vertebre: in questo modo si riesce a iniettare un materiale viscoso (metilacrilato), che una volta inserito, si compatta diventando estremamente resistente.
Questi sistemi hanno un impatto positivo sui tempi di recupero del paziente in fase di riabilitazione. Se i sistemi di tenuta non sono affidabili, siamo costretti a non utilizzare i vantaggi dell’osteosintesi, ovvero mobilizzare precocemente il paziente riducendo le conseguenze dannose dell’allettamento, che rimane sempre un momento critico nel processo di cura della patologia”.