La professoressa Daniela Martini, associato di Scienze e tecniche applicate presso il Dipartimento di Scienze per gli Alimenti, la nutrizione e l’ambiente dell’Università degli studi di Milano, è componente del direttivo della Società Italiana di Nutrizione Umana: “Alcuni studi ci dicono che mediamente i livelli di conoscenza sono ancora piuttosto bassi soprattutto in alcune fasce della popolazione italiana, quindi c’è ancora molto da fare per aumentare le conoscenze nutrizionali

Quali sono il ruolo e le finalità della società scientifica SINU?

“La Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) che riunisce gli studiosi e gli esperti della nutrizione nei suoi differenti aspetti e si propone di affrontare le tematiche nutrizionali in modo multidisciplinare coinvolgendo discipline che includono la biochimica della nutrizione, le scienze degli alimenti, alimentazione e nutrizione umana, dietetica, nutrizione applicata e clinica.

La SINU svolge le proprie attività interagendo con Istituzioni, con le altre Società scientifiche nazionali e internazionali e i mass media. Tra le varie attività, SINU si impegna nella promozione della ricerca scientifica, nella formulazione di documenti di riferimento, nell’informazione e nell’educazione in campo alimentare e nutrizionale e nell’organizzazione di eventi a livello internazionale, nazionale e locale. A tal proposito, dal 7 al 9 giugno si terrà ad Arezzo il XLIII Congresso nazionale SINU nel quale verranno affrontate le tematiche più attuali che spaziano dall’interazione dieta microbiota alla sostenibilità dei sistemi alimentari passando per il ruolo della prima colazione e per il ruolo della dieta nelle malattie infiammatorie e nell’anziano”.

La nutrizione sta acquisendo maggiore importanza negli ultimi anni. Ma i consumatori hanno una maggiore consapevolezza?

“I dati in questo senso sono abbastanza discordanti. Da un lato, sono sempre più chiari l’importanza di una corretta alimentazione e di uno stile di vita attivo nella riduzione del rischio di numerose malattie croniche ed è evidente, che una maggiore consapevolezza, sia un passo fondamentale per poi avere comportamenti più salutari. Dall’altro lato, però, alcuni studi condotti anche da membri del Consiglio Direttivo e del Comitato Scientifico SINU ci dicono, ad esempio, che mediamente i livelli di conoscenza dei principi di una corretta alimentazione, di come leggere le etichette e della relazione dieta-salute sono ancora piuttosto bassi soprattutto in alcune fasce della popolazione italiana, quindi c’è ancora molto da fare per aumentare le conoscenze nutrizionali”.

A proposito di etichette apposte sui prodotti, sono un aiuto per i consumatori? In che termini?

“Le informazioni presenti sulle etichette dei prodotti alimentari hanno tra gli obiettivi principali proprio quello di aiutare i cittadini a compiere scelte informate, consapevoli e possibilmente salutari. Pensiamo, ad esempio, all’indicazione degli allergeni presenti, fondamentale per coloro che devono evitare il consumo di specifici ingredienti.

Anche la dichiarazione nutrizionale contiene informazioni fondamentali per fare scelte consapevoli, utili, ad esempio, per il confronto tra prodotti di una determinata categoria e la scelta di quello più adatto alle proprie esigenze. Chiaramente, per far questo, è necessario investire del tempo e su una determinata formazione del consumatore affinché possa leggere e comprendere correttamente le etichette. Ad esempio, nel caso dei claim nutrizionali, come ricco di fibra o senza zuccheri aggiunti, è necessario essere consapevoli che tali indicazioni si riferiscono solo al nutriente oggetto del claim e non ci dicono che un prodotto con quel claim sia necessariamente “migliore” in tutti i suoi aspetti nutrizionali e qualitativi in genere rispetto ad un prodotto senza quel claim”.

Dal punto di vista nutrizionale che differenza c’è tra gli alimenti da agricoltura biologica e quelli tradizionali?

“La produzione biologica non nasce con l’obiettivo di produrre alimenti migliori da un punto nutrizionale. Non a caso nel regolamento CE 2018/848, che definisce le regole della produzione biologica e l’etichettatura dei prodotti, non vi è alcuna menzione agli aspetti nutrizionali dei prodotti biologici.

Tuttavia, alcuni studi hanno confrontato la qualità nutrizionali dei prodotti biologici e convenzionali appartenenti a diverse categorie merceologiche. In alcuni i casi, hanno evidenziato piccole differenze, soprattutto in termini di profilo lipidico e di contenuto di composti bioattivi (ad esempio polifenoli), che nel caso dei prodotti di origine animale sembra riconducibile alla diversa alimentazione degli animali provenienti da allevamenti biologico. Tuttavia, i dati sono spesso controversi e non consentono di concludere che i prodotti biologici siano “migliori”.

Un discorso a parte lo meritano invece i prodotti biologici confezionati: anche in questo caso non vi è nessun nesso tra la produzione biologica e la qualità nutrizionale. Tuttavia, come abbiamo dimostrato in uno studio condotto nell’ambito del progetto FLIP (Food Labelling of Italian Products), per alcuni prodotti le aziende formulano i prodotti biologici in modo che siano migliori anche da un punto di vista nutrizionale, probabilmente perché il consumatore di prodotti biologici è mediamente più consapevole e legge più attentamente le etichette”.

Prodotti ad alto contenuto proteico e basso indice glicemico: in quali casi sono da consigliare?

“Bisogna fare due considerazioni. La prima è che un’alimentazione varia ed equilibrata è in generale sufficiente per garantire l’apporto quantitativo e qualitativo di proteine ritenuto adeguato dai LARN, ovvero i livelli di riferimento di energia e nutrienti per la popolazione italiana, definiti dalla SINU. La seconda è che in generale la popolazione italiana consuma più proteine – e in particolare quelle di origine animale – di quanto definite dai LARN. Nonostante queste premesse, alimenti ad alto contenuto proteico possono essere utili in specifiche condizioni in cui vi è un aumentato fabbisogno di proteine. Un esempio è quello dei soggetti sportivi, che necessitano di assumere un quantitativo leggermente più elevato di proteine rispetto alla popolazione generale, fondamentali per il mantenimento e la crescita della massa magra. Un altro esempio è, invece, quello dei soggetti anziani, perché le proteine rivestono un ruolo importante sulla massa e la funzionalità muscolare e sono fondamentali per prevenire la sarcopenia, ovvero il declino fisiologico della massa e della forza muscolare che si verifica con l’invecchiamento del corpo umano.

Per quanto riguarda i prodotti a basso indice glicemico ovvero la misura della velocità con cui un alimento innalza la glicemia, in generale prestare attenzione agli alimenti che si consumano e che impattano in maniera importante sulla rapidità di innalzamento della glicemia (ovvero dei livelli di glucosio del sangue) rappresenta una buona strategia per tenere in salute l’organismo. Tuttavia, l’indice glicemico degli alimenti non è l’unico parametro da tenere in considerazione, anche perché viene valutato tenuto conto di una quantità standard di carboidrati, ma non ad esempio della quantità di alimento che viene consumato. Per questo, ormai si ritiene più importante considerare il carico glicemico, che tiene conto anche della quantità di alimento che si consuma, ma anche l’indice insulinico, che tiene conto del rilascio di insulina che si verifica in seguito al consumo di un pasto. In maniera generale, sarebbe necessaria un’adeguata campagna informativa che faccia capire al consumatore, sia che gli alimenti ricchi in carboidrati non impattano allo stesso modo sulla glicemia, ma anche che alimenti poveri di carboidrati non sono necessariamente “più salutari”, perché potrebbero contenere elevate quantità di altri nutrienti, quali grassi.

Qual è la qualità media dei prodotti da forno italiani presenti sugli scaffali dei supermercati?

“Sempre nell’ambito del progetto FLIP abbiamo analizzato la qualità nutrizionale di migliaia di prodotti da forno in commercio in Italia. Dare un giudizio sulla qualità media è difficile perché è stata osservata un’elevata variabilità anche tra le centinaia di prodotti appartenenti ad una stessa categoria e apparentemente simile ad un cittadino poco attento. Questo può essere considerato un dato positivo perché significa che il cittadino può scegliere il prodotto più adatto alle proprie esigenze nutrizionale, a patto però di investire tempo nel leggere le etichette e di essere in grado di interpretarle.

Un lavoro specifico è stato fatto per confrontare il contenuto di sale con i benchmark definiti, ovvero dei valori di riferimento a cui i prodotti appartenenti a diverse categorie dovrebbero tendere e che dovrebbero essere considerati dalle aziende quando si sviluppano nuovi prodotti o si riformulano prodotti esistenti. I dati evidenziano che soprattutto alcune categorie come pane e sostituti hanno contenuti di sale, e quindi di sodio, alle volte molto al di sopra di tali benchmark. Un altro dato interessante è emerso per prodotti che sono fonti di sale a cui non diamo importanza, come i cereali per la colazione, che in alcuni casi contengono oltre 2 g di sale per 100 g di prodotto e che quindi possono contribuire per una quota rilevante ai 5 grammi al giorno, che rappresentano la quantità di sale che non dovremmo superare”.

Sappiamo che l’Italia è a buon punto nel raggiungimento previsto del 25% di coltivazioni Bio. Come si concilia il raggiungimento di questo obiettivo con una inevitabile riduzione della resa produttiva che è importante per il concetto di sostenibilità?

“In effetti i dati presenti in letteratura suggeriscono che la resa di produzione biologica sia mediamente inferiore a quella del convenzionale. Tuttavia, è doveroso ricordare che il concetto di sostenibilità è estremamente ampio e tiene conto anche di altri aspetti, come la qualità della produzione, la conservazione della biodiversità, la riduzione dell’uso di prodotti agrochimici e molti altri. In questo senso è, quindi, scorretto attribuire una sorta di “insostenibilità” alla produzione biologica. È anche però importante ricordare che, al contempo, consumare prodotti biologici non significa automaticamente essere sostenibili, proprio perché il concetto di sostenibilità è estremamente ampio e ad esempio non è sostenibile se si consumano eccessive quantità di prodotti di origine animale, anche se questi sono ottenuti da animali provenienti da allevamenti biologici.