Intervista alla segretaria nazionale dell’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica, la dottoressa Carmela Bagnato: “C’è stata maggiore attenzione per tutto quello che si mangia ed è aumentato il consumo dei prodotti da agricoltura biologica”
Alimenti e nutrizione. Il Covid-19 ha avuto un impatto nelle scelte dei consumatori e nella diffusione dei prodotti da agricoltura biologica. Abbiamo intervistato la segretaria nazionale dell’Adi, Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica, la dottoressa Carmela Bagnato, riconfermata nel direttivo agli inizi dell’anno, dopo i primi quattro anni di mandato.
L’Adi è nata nel 1950 per promuovere e sostenere iniziative scientifiche, culturali e didattiche sulla Scienza della Alimentazione. Non ha scopo di lucro e persegue finalità di solidarietà sociale, nei campi dell’assistenza sociale e socio-sanitaria. Le sezioni regionali sono 19 sezioni.
L’Adi promuove una serie di iniziative per sostenere l’educazione alimentare finalizzata a scopi sociosanitari; migliorare l’assistenza e la cura dei pazienti affetti da patologie riconducibili alla dietetica e alla nutrizione clinica, così come per migliorare i rapporti tra paziente – medico – strutture pubbliche e private nazionali e internazionali. È impegnata, inoltre, nella promozione dell’informazione relativa alla dietetica ed alla nutrizione clinica e nell’impostazione di programmi e progetti per l’aggiornamento sui temi dietologici e nutrizionali e per la formazione di medici, dietisti, personale infermieristico e tecnico sanitario, docenti delle Scuole ed Istituti di istruzione di ogni ordine e grado ed operatori del campo della dietetica e della nutrizione clinica con l’obiettivo di trasmettere le conoscenze a soggetti affetti da
patologie.
La nutrizione sta acquisendo maggiore importanza negli ultimi anni. I consumatori si dimostrano molto interessati: hanno una maggiore consapevolezza rispetto al passato?
“I consumatori si dimostrano più interessati rispetto alla propria alimentazione rispetto al passato. Guardando ai dati di vendita dei prodotti alimentari, soprattutto nel periodo del post Covid, è possibile notare un aumento di frutta, verdura, così come dei prodotti locali. Mi riferisco ai dati che sono stati raccolti da Deloitte , azienda di servizi e consulenze in molteplici settori.
Questo maggiore interesse si spiega perché dopo il Covid-19, c’è stata una maggiore attenzione anche nei confronti dello stato nutrizionale, sull’onda lunga dell’attenzione per le condizioni di salute. Si è parlato tanto, ad esempio, della mortalità dei pazienti obesi per Covid: il tasso è stato maggiore rispetto a quello dei pazienti non obesi. Sicuramente una spinta è arrivata dai mezzi di comunicazione ed è stata alimentata da una serie di iniziative a carattere formativo sui corretti stili di vita che passano anche dalla nutrizione. Sempre secondo i dati diffusi da Deloitte, nel periodo post Covid è aumentato il consumo di prodotti da agricoltura biologica.
La maggior parte dei consumatori, quindi, se non formata, è quanto meno informata sugli aspetti e sui benefici di uno stile di vita sano e sulla relazione tra salute ed alimentazione. Bisogna però aggiungere che, a fronte dell’informazione, resta la questione economica: dall’indagine condotta da Ismea relativa al 2022, da un lato emerge che gli italiani sono più attenti alla spesa alimentare, dall’altro si evidenzia che la possibilità degli italiani di acquistare i prodotti che ritengono siano più salutari resta legato alle condizioni socio- economiche e, quindi, ai prezzi. Ad esempio, è emerso un maggiore consumo di mortadella rispetto al prosciutto crudo e di carne di maiale rispetto alla carne di vitello. La consapevolezza, di conseguenza, a maggior ragione in questo periodo di crisi, deve fare i conti con il portafoglio.
Le etichette apposte sui prodotti sono effettivamente un aiuto per i consumatori? Ritiene necessario lo svolgimento di attività di formazione rivolte agli acquirenti finali dei prodotti?
“La finalità delle etichette è aumentare la consapevolezza del consumatore rispetto a quello che acquista. Le etichette devono essere corrette nel senso che devono essere chiare, in modo da essere leggibili e comprensibili. Devono contenere informazioni obbligatorie, secondo quanto previsto dalle disposizioni di legge varate dall’Unione europea. Si tratta i informazioni nutrizionali, di produzione, di provenienza. Sono senz’altro utili, ma aggiungerei che sono utili per il consumatore informato, che già sa leggerle. Se non c’è un’attività di formazione, le informazioni restano incomprensibili. Faccio un esempio: se un consumatore legge grasso saturo, ma non sa se fa bene o male alla salute, allora è chiaro che non è nelle condizioni di orientarsi. Per questo, ritengo necessario potenziare le attività di formazione attraverso una serie di progetti rivolti alla popolazione per spiegare quali sono i principi fondamentali della corretta alimentazione. L’etichetta, in definitiva, può aiutare ma solo se il consumatore sa leggerla ed interpretarla.
Chi e in che modo dovrebbe organizzare la formazione dei consumatori?
“Le attività in chiave formativa possono essere intersettoriali, a cascata, per cui possono essere svolte dalle Aziende sanitarie locali e più in generale dalle istituzioni che si occupano di salute. Anche i Comuni possono svolgere la loro parte, così come le associazioni sportive e di volontariato e le stesse aziende di ristorazione collettiva, in particolare la ristorazione scolastica. Sul territorio nazionale, ci sono già esempi in questa direzione che vedono impegnati Amministrazioni comunali, Asl, nutrizionisti e dietisti nella formazione dei docenti, dei genitori e degli stessi studenti. Come Adi abbiamo portato avanti progetti di informazione e formazione dei consumatori in alcuni centri commerciali.
Quanto alle scuole, va ricordato che c’è un programma ministeriale che si chiama ‘Guadagnare salute’: si articola in progetti intersettoriali ed è stato promosso dai ministeri della Salute e della Pubblica istruzione e prevede incontri nelle scuole per informazione e formazione nutrizionale rivolte al corpo docente, ai genitori ed agli studenti”.
Dal punto di vista nutrizionale che differenza c’è tra gli alimenti da agricoltura biologica e quelli tradizionali?
“L’agricoltura tradizionale viene anche definita convenzionale o intensiva perché tende a sfruttare al massimo il terreno ai fini della produzione e impiega prodotti chimici per la difesa delle piante. L’alto sfruttamento comporta anche un alto consumo energetico. L’agricoltura biologica, invece, non fa uso di prodotti chimici, se non nel rispetto di determinati parametri e limiti quantitativi stabiliti dalle disposizioni di legge, e ha un ridotto impatto ambientale.
Fatta questa differenza, va detto che sul piano nutrizionale, stando a quanto emerso da recenti attività di ricerca, grandi diversità non ce ne sono, se non su qualche vitamina e sugli antiossidanti, come i polifenoli che sono contenuti nelle piante. I prodotti da agricoltura biologica hanno più polifenoli e c’è una spiegazione perché i polifenoli vengono prodotti dalle piante, in difesa della loro crescita. Poiché l’agricoltura biologica non usa concimi chimici, le piante si difendono da sole, di conseguenza, producono più polifenoli. E i polifenoli sono degli ottimi antiossidanti.
Quanto, poi alle vitamine, come la C, secondo studi validati, sembra che ci sia un contenuto leggermente più alto nei prodotti biologici, ma non in quantità significative. Qualche piccola differenza, anche nel contenuto in microelementi perché l’agricoltura biologica ne assorbe di più dal terreno.
Di recente, si sente spesso parlare di prodotti ad alto contenuto proteico e a basso indice glicemico: in quali casi sono da consigliare?
“In quest’ultimo periodo effettivamente c’è maggiore attenzione a questa tipologia di prodotti. Per quanto riguarda quelli ad alto contenuto proteico, vengono acquistati da chi è particolarmente attento alla forma e frequenta le palestre per migliorare la struttura fisica. Sconsiglio vivamente l’uso di questi prodotti, a meno che non ci sia un consulto medico. Occorre, quindi, essere molto attenti.
L’indice glicemico è importante perché è la velocità con cui aumenta la glicemia dopo che si è consumato un alimento. È chiaro che un indice glicemico alto produca un aumento rapido della glicemia. Se si abusa di alimenti ad alto indice glicemico si produce più insulina per mantenere normale la glicemia, questo porta ad accumulo di peso quindi ad obesità ed a lungo andare si corre il rischio di consumare l’insulina e diventare diabetici. Occorre, quindi, non abusare nel consumo di questi alimenti anche se, nella persona sana, non sono completamente vietati. L’equilibrio è sempre la giusta dose poiché i nutrienti sono tutti necessari”.